“Nacquero contadini, morirono briganti” di Valentino Romano

Esce oggi il libro di un mio caro amico, e collaboratore per il mio prossimo romanzo: Valentino Romano, un grande storico di brigantaggio a cui devo moltissimo. Un modo di ringraziarlo è stato scrivere la postfazione per il libro pubblicato da Capone Editore: “Nacquero contadini, morirono briganti”.

Ecco la postfazione:

Così umano. Così piccolo, meschino, speranzoso, maleodorante, accaldato o raffreddato, rassegnato, misero, lacero e inumano il mondo che emerge dalle pagine informate di Valentino Romano. La storia di carta che fruscia non è qui; i generali impettiti, la lista degli armamenti, il computo dei morti e dei vivi, gli accordi a palazzo, i tradimenti regali, le convenzioni, i trattati, le alleanze, le dichiarazioni in parlamento: carta che fruscia senza odore.
Qui invece c’è l’odore della storia, rimasto impigliato nelle pieghe dei suoi protagonisti piccoli, quelli che fino a più di un secolo fa erano contadini abbracciati alla propria terra – quelli che non sono dovuti scappare via in cerca di fortuna oltreoceano – coloro che non lasciano traccia del loro passaggio, di cui non ci sono neanche più le tombe. La Storia è di queste braccia, mani, piedi macinati dal tempo e riassorbiti nel suolo di cui noi ci nutriamo senza sapere, conoscere. Ma che magari giudichiamo. “Briganti” li chiamiamo, come oggi chiamiamo altra gente “clandestini”: nomi comodi per allontanare da noi, di uno o cento passi, il desiderio disperato di sopravvivenza, o se possibile di una vita dignitosa, una vita senza troppe paure, a cui ci si possa un pochino aggrappare.
In queste pagine ci sono dolore e leggerezza insieme, crudeltà e amore: c’è umanità e disumanità come antinomia della stessa essenza: quella della realtà fatta di carne, delle sue pulsioni. C’è la sottomissione delle donne, spesso vendute, il sopruso sul povero, la vendetta sul ricco, la furbizia che si ritorce contro chi crede di poter strappare un salvacondotto alla fortuna, non capendo che vale quanto un biglietto perdente della lotteria.
Ci sono le guardie e i ladri, al lettore stabilire chi guardi cosa, chi protegga cosa, chi rubi cosa. C’è la giustizia e la Giustizia, al lettore stabilire chi amministri cosa, chi difenda cosa.

E c’è tutta l’anima splendente, empatica e affettuosa di uno storico del talento, l’energia e la passione di Valentino Romano, che riesce sempre a andare oltre ai fatti, oltre le infinite ore trascorse nella polvere di un archivio. Lo riesce a guardare come uno scultore contempla il suo blocco di marmo e sa cosa tirarne fuori, come inclinare il suo scalpello per far venire alla luce ciò che va detto, ciò che sarebbe ingiusto obliare. C’è un atto di amorosa restituzione di dignità ai torti della storia in queste pagine, e un render conto della speranza, di tutta quella speranza a volte rabbiosa che ha mosso nel bene e nel male persone che avevano davvero troppo poco da perdere, persino della loro stessa vita. Grazie per questo.