End of the world melancholia blues

Non credo che oggi finirà il mondo, anche se il pianeta sarebbe migliore senza la razza uomo, saprebbe lentamente curarsi da tutte le ferite che gli abbiamo inferto. Credo che ci serva pensare che il mondo possa finire per capire meglio ciò che abbiamo, penso che abbiamo bisogno di avere paura per pensare che la controlliamo, anche se alla fine siamo solo capaci di esserne schiavi.

Per parte mia, mi va bene andare. Ho fatto molte cose, ho lasciato un segno del mio passaggio su questo pianeta e in questa era, anche non ci fosse nessuno a vederlo. Ho amato molto e sono stata amata. Ho amici preziosi e una famiglia in buona parte adorabile. Non ho odio per nessuno, anche l’unica persona che ha meritato il mio disprezzo ora inizia a prendere la mia pena.

Posso andare, quindi. Manca solo una cosa, la più importante. Per questo il mondo non finisce oggi. Per le tre stelle che devo ancora veder splendere.

Louis Malle vs Asghar Farhadi: il mondo che cambia

Ci sono questi film la cui mancata visione mi dà quasi un senso di disagio, come stessi seduta al banco di scuola senza aver fatto i compiti. Questi titoli così famosi, le correnti di genere, i registi “importanti”: cose che si devono conoscere, in un contesto di media cultura qual è la mia. Quel minimo che mi consenta di stare su media e non mediocre, ecco, senza pretendere troppo.
Ogni tanto cerco di pitturare qualcuna delle mie macchie di leopardo, e di solito lo faccio con un’attitudine emotiva e sentimentale, pronta all’innamoramento artistico. Così ho iniziato a guardare Les Amants, un film del 1958 di Louis Malle – anni che ce l’avevo lì. Anche perché il suo Au revoir les enfants non solo mi era piaciuto molto, ma mi aveva proprio commossa.

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Quota 3220 metri s.l.m.

Addizionare tutti i mesi che ho passato nel paese di montagna dell’Agordino dove ho casa da quando sono nata, e scoprire che la somma equivale a circa sette anni. Sui miei quarantotto. Sono moltissimi.
Sette anni: un settimo della mia vita. E ogni giorno vissuto lì – se le nuvole me lo hanno permesso – ho chiuso la giornata guardando il tramonto verso il Civetta, o “la” Civetta.
Ho sempre detto “il” Civetta, usando il maschile a sottintendere “monte”, anche se non è quello che ho fatto con altre montagne dal nome femminile: ho sempre detto la Marmolada, le Tofane o l’Auta, ad esempio. Ho capito solo ora che dire il Civetta era un modo per darle del lei.

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“La pace con voi” per inaugurare il mio blog su l’Unità

Sono molto felice e lusingata di essere stata invitata dall’Unità a tenere un mio blog d’autore. Ho deciso di chiamarlo “Tu, quore”, con questa motivazione:
Un blog per scrivere di quello che mi tocca nel profondo. Non parlo di passione, una parola con quella doppia sibilante che subito divora e disperde, autocombusta, superficiale e capricciosa. Parlo di tenaci tessuti di miocardio che si muovono e abbracciano il mondo che vedo: si tratti di persone, libri, musica, film, arte, visione delle cose, o riflessioni. Questo leggerete qui, se vorrete. Scrivere è il mio modo di essere mondo.

Come primo pezzo, ho scritto qualcosa di molto quoroso, sulla pace… eccolo:

La pace con voi
C’è stato un momento della mia vita, più di 30 anni fa, in cui il mio mondo veniva giù come bastioni di un castello di sabbia. Mia madre moriva di cancro e la nostra casa andava a pezzi di abbandono, ognuno di noi cucito muto nell’impossibilità di gestire questo dolore e comunicarlo agli altri, condividerlo. Avevo appena ficcato il naso nell’adolescenza, e facevo quasi solo cose sbagliate, mentre cercavo di alzare uno sguardo di sfida ai mostri delle mie paure, intanto che l’angoscia scavava un millimetro di buco allo stomaco al giorno. Avevo bisogno di allontanarmi dal castello sul mare, di non assistere ai crolli.

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Che verrà

Butta via il piedistallo, smonta la teca delle ammirazioni; rimuovi la pellicola dal cuore e premilo sulla carne del mio sterno. Sostienimi la mano quando mi accarezzo frammenti fragili; resta dentro la mia gioia, stringimi libera. Piccole sorprese, immaginiamo. Camminare oltre; ascendere, poi sospiro e riposo.

[Foto: Nuova Zelanda, Northern Island]

Carlo Giuliani, ragazzo.

 

Inutile continuare a far finta che sto prendendo sonno. È il 20 luglio 2011 da due ore e trentotto minuti, e ogni istante che passa scava dentro la parola anniversario, il corpo per terra, il sangue dalla testa.
Non credo che a Carlo Giuliani interessasse fare l’eroe, credo che gli interessasse restare vivo. Credo che servisse un morto, quei giorni, e che sia toccato a lui, per caso. Serviva qualcosa per dire “cattivi”, che rendesse dignità a quella massa di carta straccia di filigrana che teniamo nella banche, soprattutto in quelle svizzere. E mi sento senza forze per i suoi compleanni mai compiuti e per tutte le partite della Roma che non ha più seguito, da un televisore.
Spero le abbia viste dalle Grandi Praterie, spero ci guardi sereno e sorridente, Carlo, l’agnello che ha raccolto tutte le colpe, tranne le sue.
E allora oggi cercherò di fare tutto al meglio che posso, di mettere amore in ogni atto, sentire la vibrazione di ciascuna cosa, non essere pigra, sciatta, indegna, onorare tutto e glorificare la vita, bellissima, che ho. Ringraziando il cosmo che mi contiene e Carlo Giuliani, che da dieci anni mi addolora e mi ispira. Ti bacio Carlo, veglia su di noi.

Grazie Flexi

Domenica 3 luglio 2011 chiude la libreria Flexi dello storico quartiere Monti, a Roma. E io mi chiedo: adesso come faccio?
Quando c’era ancora il vecchio sito con la tag cloud, il mio nome era uno di quelli che campeggiava più grande in home page: ero sempre lì a presentare qualcosa, che fosse un libro mio o di qualcun altro, che fosse la presenza a un dibattito o a un’iniziativa, il Flexi era la mia casa culturale, il mio luogo di scambio di saperi, di intelligenza, di pensiero libero e antagonista, di informazione e controinformazione. Ma era anche una festa sempre aperta dove potevi imbucarti ogni volta che volevi, che la giornata era storta, che la serata finiva troppo presto, o semplicemente prenderti una coccola prima di tornare a casa. Ogni volta che ho dato un appuntamento a qualcuno per un aperitivo in centro è stato lì, come un’appendice del mio salotto, perché il Flexi è – devo proprio dire “era”? – un posto caldo, accogliente, ospitale, dove per anni ho trovato tutta quella gente simile a me che non avrei saputo dove altro intercettare dal vivo altrimenti. Continua a leggere

Rest in peace

Lo scorso novembre ero in vacanza a San Diego, California, da una coppia di amici. Lei si chiama Mimi ed è una donna splendente: ha passato i 70 anni ma dimostra quelli del suo molto più giovane compagno. Una donna significativa per la mia vita, conosciuta su un aereo che sono riuscita a prendere per pura ostinazione, a New York, quindici anni fa.

Stavamo tornando da Los Angeles, in macchina, di notte. C’era un bellissimo buio da deserto, intorno a noi. Poco traffico, luci rosse e gialle sulla strada, un leggero brusio prodotto dalla loro auto iper-ecologica che consuma per 100 chilometri quello che fa il mio motorino in 20. Continua a leggere

Porcellana

Ieri ho brevemente conosciuto una giovane scrittrice italiana molto nota. Ero con uno dei miei più cari amici, che la conosce, e ho percorso qualche metro di strada con lei; nient’altro, ma l’ho studiata attentamente.
Qualche anno fa ha scritto un libro acerbo e precoce che ha venduto cifre a sei zeri, in tutto il mondo. Un libro che mi ha fatto sentire addolorata e arrabbiata. E avrei voluto sgridarla per essersi così esposta, come zia brusca dal cuore buono. Però non si può sgridare chi ha bisogno di amore.
È una ragazza minuta, una piccola bambola di porcellana, con un cuore d’argilla. Credo che si chieda se la gente la riconosca, per strada; pare contenta se questo accade. Quando una voce maschile la chiama per nome le scappa un piccolo sorriso che vorrebbe nascondere, ma è già volato via, e io vorrei abbracciarla.
Sono sicura che quegli zeri le danno coraggio. Continua a leggere

Addio Vittorio

Piango la morte di Vittorio Arrigoni, eroe della difesa della causa palestinese. 

Non l’ho conosciuto di persona, ci siamo solo scritti qualche piccola cosa su facebook, ma lo piango come un carissimo amico, qualcuno il cui ruolo è insostituibile per sempre, come quello di Sbancor. Cercheremo di restare umani Vittorio, cercheremo di avere la tua forza e il tuo coraggio.

Ti rappresento con la foto che avevi scelto come tuo avatar su facebook: la tua felicità per la Freedom Flottillia. Veglia su di noi e sul tuo popolo, dalle grandi praterie. Mi manchi.