Un uomo che ama le donne: l’inferno della prostituzione raccontato dal poliziotto svedese Simon Häggström

Se potessi costringere tutti gli abitanti adulti del pianeta a leggere un libro per il 2017, sarebbe “Skuggans lag” [La legge dell’ombra, pubblicato dalla casa editrice svedese Kalla Kulor Förlag e non ancora tradotto in italiano – peccato! – ma disponibile in inglese su Amazon] scritto dal poliziotto stoccolmita Simon Häggström. In solo poco più di quattrocento pagine riesce a farci vedere un mondo nascosto, che sarebbe troppo comodo e autoconsolatorio chiamare osceno. Nelle sue narrazioni di esperienze vissute attraverso lunghe notti squallide in macchina a cercare di fermare i clienti delle prostitute, Häggström riesce a raccontare la storia di milioni di donne, di millenni di storia, di miliardi di violazioni. Un libro faticoso, ovviamente, ma imperativo, necessario, squarciante.

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“Diva futura” di Fabio Viola

Straniamento è un sostantivo che ha spesso ragione di essere usato per circostanziare le narrazioni di Fabio Viola. Estraneo e poco comprensibile il mondo descritto, a linciare una realtà troppo banale, deludente. Ma stavolta Viola ci ha tenuti con i piedi su questa terra meschina e meneghina, che dissimula il suo essere provinciale fingendo eterna assenza di sorpresa e coolness (digitando questo vocabolo su Google il primo suggerimento è “coolness Milano”), cercando riparo dalla paura della noia, del nulla, attraverso un atteggiamento di «nichilismo addomesticato e ottimista». Temi che ricorrono dal suo primo romanzo (“Gli intervistatori”), ma che qui sono giocati meno sul filo dell’assurdo e dell’alienante per restare invece ancorati a un qualche senso di concretezza più reale. Forse proprio per questo più dolorosi, desolanti. Lontano dall’ambientazione nipponica di “Sparire”, questo romanzo che si svolge tra Roma e Milano è raccontato dal “solito” io narrante romano, che in questo caso è sia innamorato del Giappone che di una giapponese, Maki, la “Diva Futura”, sua compagna di vita.

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Yuri, il primo romanzo del musicista Andrea Chimenti

Un esordio narrativo molto convincente per un compositore e cantante con alle spalle (e davanti a sé!) una lunghissima carriera nell’area più raffinata della musica cantautoriale indipendente italiana, un romanzo che per certi aspetti sorprende, con una trama avvincente che trascina senza usare meccanismi troppo semplicistici della costruzione della fabula. Anzi, Andrea Chimenti si prende un rischio non piccolo (cosa che del resto fa da sempre anche in campo musicale) scrivendo un romanzo che ben prima del successo della seria televisiva “Trono di spade” lambisce − in una delle due storie che scorrono parallele nel romanzo – elementi ascrivibili al genere fantasy, esponendosi così a un possibile disdegno aprioristico di questo lavoro. Ma, proprio come per la serie, l’utilizzo di personaggi e situazioni di quel mondo è soprattutto funzionale al comunicare alcuni archetipi e contenuti di bene e male, a comporre una complessità psichica di ciascun personaggio.

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L’Italia più meschina, quella “Per il bene di tutti”, nuovo romanzo di Giulia Fazzi

fazzi per il beneInorridente tutta questa spietatezza. Eppure – o forse per questo − così familiare, già vista strisciare, vissuta in qualche bar di una qualche provincia del mondo, in qualche Nord da cui provenivano da Sud, estranei e risputati. Isolamento, emarginazione. Quale che sia la causa: depressione, povertà, deformità, difformità – l’emarginazione un noi minuscolo e un Loro maiuscolo; una minoranza e una Maggioranza, un Gruppo, un Clan, una Gens oppure semplicemente, ancestralmente, un Branco.
Giulia Fazzi la violenza sulla donna la sa raccontare come l’avesse vissuta sulla sua pelle. Lo ha già fatto con intensità e forza nel suo primo romanzo, “Ferita di guerra”, passato un po’ inosservato in Italia nonostante abbia meritato la pubblicazione in Francia con il prestigioso editore Gallimard − romanzo che prima o poi qualche grande editore dovrà ripubblicare.
Ma rispetto alla storia individuale di “Ferita di guerra”, questo è un romanzo più corale, con una declinazione di ogni possibilità di femminile, dalla giovane alla vecchia, dalla bella alla orribile. Donne diverse tra loro ma con una bussola comune che non è però quella del femminile, ma quella del disagio, dell’abbandono, del rifiuto.
Tutto si svolge in un piccolo paese dell’Appennino Emiliano, uno di quei luoghi senza personalità che non sia quella dei suoi cittadini: le loro abitudini, i loro tic. Posti che sarebbero sonnacchiosi, fino a quando interviene un elemento anomalo, un’increspatura sulla superficie dell’acqua, seminando il bisogno di guardare, vegliare, piegarsi sugli altri. Il paese ritrova se stesso al cospetto di chi esce dai binari, e ci si accanisce. E da sonnacchioso si fa violento branco, persecuzione. Ma in modo gelatinoso. Mani e sassi raramente si vedono insieme, tutto è Tradimento.
Il romanzo parte lento, quasi immobile, bisogna lasciare che le parole ben scelte e calme di Giulia Fazzi lo cesellino raccapricciate questo piccolo mondo, lo schifino come gatto che scrolli una zampa bagnata; ma lo restituiscono poi fino in fondo, senza paura di niente. E la sensazione di ingiusto orrore resta addosso a lungo. Un romanzo poco italiano; asciutto, cattivo. Coi cattivi ma in special modo con i finti buoni e con gli inerti. C’è tanta brutta Italia in queste pagine, ed è un male se non ce ne accorgiamo, perché vuol dire che ci siamo assuefatti.

Giulia Fazzi, “Per il bene di tutti”, Il Saggiatore, 2014, 150 pp., € 14.00

Tu, quore
La poesia e lo spirito

“La frattura”, l’unico prezioso romanzo di Giovanna De Angelis

“Finalmente” ho pensato quando ho avuto qualche mese fa la bozza del romanzo di Giovanna De Angelis. “Per fortuna”, ho aggiunto.
Ero certa che avendo saputo sempre trovare parole così giuste per gli altri, ne avrebbe avute anche per sé, per (con) quel suo mondo turbolento e appassionato dentro, a volte grumoso, rabbioso, e anche libero, retto, ironico, smascherante. Tutti i re erano sempre nudi per Giovanna, nessun ossequio, solo Veritas; quella che ho trovato qui.

Mi aspettavo un buon romanzo, qualcosa che avrei letto con occhi velati e indulgenza, con una dolcezza che l’avrebbe probabilmente irritata. Questa idea è durata un soffio, neanche un paio di pagine. È finita perché “La frattura” è Letteratura, non altro.
Lo è per lo spazio largo di ogni personaggio, delineato come un piano sequenza filmico, coerente e sfaccettato, debole e forte, umano, reale; per una storia veritiera che rende così vicine le nostre ansie interiori, rivelando quanto ognuno di noi stia dentro se stesso con in mano un termometro della felicità sentimentale così fragile, e che faccia dipendere da quel grado la sua capacità di sopportare o meno il proprio vivere, persino il proprio morire.

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Il nuovo romanzo di Paola Ronco: La luce che illumina il mondo

Oppure, piuttosto, quella che non ci riesce: né il mondo, né i suoi abitanti. Perché il cielo è coperto da nuvole di pioggia instancabile, pioggia che diventa fango e sembra anzi colare già in questa forma vischiosa e inarginabile, maligna, priva di speranze.
Un set abbastanza filmico per questa ucronia di Paola Ronco, alla sua seconda prova su carta dopo il suo romanzo di esordio, “Corpi estranei” uscito con Perdisa, che avevo recensito nel 2009; per "La luce che illumina il mondo" l'editore è Indiana, e troviamo una Ronco più cupa e no-future, con un respiro e uno sguardo ampi su un mondo che conosciamo fin troppo bene. Un’Italia squallida e penosa, di cui non ci vengono risparmiati i particolari, dove ogni parte fa il suo gioco, a tratti disumanizzandosi.

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“Sparire”, di Fabio Viola

viola sparireIl segreto è nel sottile gioco sul filo dell’assurdo: implacabile, scomodo, masochistico. Suspense e mistero – così lontani dal loro impiego furbo e dozzinale – portano a momenti di disagio e desiderio di fuga. Continuiamo tuttavia a leggere, voluttuosamente; costretti e ansiosi di uscire da certe situazioni evocate con tale precisione e tridimensionalità da diventare a tratti insostenibili. Restiamo perché è un mondo che non ci assomiglia e tuttavia riconosciamo, affrontandolo nelle nostre difficoltà oniriche, che qui diventano Letteratura. Dopo “Gli intervistatori”, convince in pieno anche la seconda prova di Fabio Viola, che pure qui riesce a toccare, senza alcun psicologismo, corde profonde dell’inconscio. Va in onda il malessere, l’incapacità di reagire, il senso di impotenza, e simultaneamente il suo opposto: l’iper-reattività senza controllo, l’istinto all’azione immediata che spesso ha più [buon]senso di una diversa strategia.
Maggiormente narrativo rispetto al primo, questo romanzo ci porta all’interno di una storia che inizia alla Brazil, dove il protagonista sembra esserlo suo malgrado: Ennio (un ragazzo italiano benestante e poco facente) parte per il Giappone alla ricerca della sua ex ragazza, Elisa.

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Esercizi sulla Madre, di L. R. Carrino

carrino eserciziEsercizi sulla madre di Luigi Romolo Carrino, Perdisa Pop

Non è un libro semplice, questo, nel bene e nel male. Non è un libro della sera, o del treno: è un libro che va propriamente letto, anzi imparato a leggere, cosa che si fa dalla ventesima pagina fino all’ultima. La parola in alcuni passaggi è davvero preziosa, incidente, perturbante, auto compiuta. A volte troppo: la parola si gonfia e pretende tutto, anche di non essere capita; altezzosa, distante. E a volte ciò che si narra è iperbolico, sovradrammatico, implausibile, mi ha lasciato una sensazione di eccedenza, di volontà di effetto; anche se non penso che l’autore ne avesse il proposito. La sensazione che ho, invece, è che Carrino volesse provare a guardarsi dentro uno specchio mentre vomitava, piangeva, gridava, ma tutto piano, tutto solo mouse e tastiera, con persino qualche sorriso di bravura che ci sta tutto: la sua penna è compiuta e poetica, raffinata.
Ci vuole un anticoagulante, e tempi morbidi, per compiere il viaggio di questa lettura, che non è per tutti, e non è per qualsiasi giorno. “Esercizi sulla madre” è la storia di un bambino di 38 anni che abbandonato dalla madre una notte di 30 anni prima non ha mai smesso di escrescere intorno a quella fuga senza addio, di cui solo nella conclusione ribalta il finale.

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“Il Cristo ricaricabile” di Guglielmo Pispisa

Un romanzo magnificamente ambizioso, che gestisce con coraggio materia a dir poco rovente a partire dal suo incipit: un uomo – narratore quasi onnisciente della storia – viene resuscitato da suo nipote, un ragazzetto come tanti, di poco più di vent’anni, surfista e introverso, che si sveglia un giorno con le stimmate, senza avere idea di perché, senza una fede in Dio o un afflato religioso, senza averne il desiderio o il physique du rôle psicologico o mentale. Intorno a loro, narratore e protagonista, una serie di personaggi (molti dei quali membri della stessa famiglia), a rendere questo romanzo più che “corale” quasi “sinfonico”: caratteri diversissimi tra loro esprimono pensieri, stili di vita, emozioni e sentimenti spesso antitetici e in conflitto ma che nell’insieme riescono a dare una spinta verticale alla storia, creando un movimento un po’ vertiginoso, come un Tondo Doni michelangiolesco.

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Madreferro, un romanzo necessario di Laura Liberale

Ho letto molte cose carine e anche belle, ultimamente, oltre ad altre meno interessanti che non ho recensito, ma Madreferro va nella categoria “letteratura” più di ogni altra. Un romanzo a flusso in cui desideravo imbattermi da tempo, una prosa raffinata e pregna, necessaria, potente di lessico e frasi, senza mai affettazione. Letteratura, appunto. Che scava. E si fa leggere lentamente, quasi una pagina alla volta, come un ruminare di parole e soprattutto un colpire di aggettivi compiuti, compienti. Come bere finalmente senza essersi accorti di quanta sete si aveva, come un bel film dopo ore di televisione.

Non succedono grandi fatti in questa storia: una scrittrice torna nella sua cittadina di origine dopo qualche anno di assenza e ritrova un filo di congiunzione tra tutti i segni della sua infanzia che aveva subìto senza capire, dando finalmente nome e consapevolezza al trasudo violento e cattivo che respira da quei luoghi.

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