Sorrentino omaggia Fellini, ma spreca bellezza

Su questo blog non parlo quasi mai di cose che non ho apprezzato. Sono sensitiva e naif, penso sia meglio non immettere negatività nel cosmo, e la critica scatena energie da evitare: per me queste righe sono un piacere gratuito di condivisione con voi, non un mestiere. Ma farò un’eccezione per La grande bellezza di Paolo Sorrentino per due motivi principali: il primo è che alcuni lettori di Tu, quore mi hanno esplicitamente richiesto di scriverla (e alé!); il secondo è perché Sorrentino ha un grandissimo talento, che da solo merita menzione e attenzione. Se fossi la sua zia acida, gli direi di smettere di scrivere i soggetti delle storie che gira, e di cercare piuttosto belle sceneggiature scritte da altri. E l’altra cosa che gli direi, se fossi il suo zio arrogante, sarebbe di cercare di fare meno il fenomeno con la cinepresa, ché ogni inquadratura la gira arzigogolata per far vedere che è bravo e ha le idee, ma così diventa come quei bambini che giocano da soli ma si girano a guardare la mamma per farsi dire che son bravi: se lo spettacolo di marionette è fatto bene, non ti accorgi mai delle mani che muovono i fili. Non sempre la spettacolarità fa cinema, secondo me.

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Dal Film Festival di Setubal

Un festival molto ambizioso per una cittadina così sonnacchiosa.. ma i film erano interessanti.. ne ho scritto per L'Unità. Enjoy.

Bielorussia: finire in cella per aver fatto un film

Si svolge in questi giorni a Setùbal –carina e sonnacchiosa cittadina vicino Lisbona– un festival ambizioso, Festroia, che è arrivato al traguardo della sua ventinovesima edizione. Internazionale ma una vocazione molto europea, presenta una selezione indipendente e accurata di film scelti con curiosità e apertura, con una ricerca di valore artistico non solo nell’immagine ma anche nei contenuti emotivi. Non a caso ritroviamo sia Mika Kaurismäki, con il suo Road North, che soprattutto lo splendido Into the white, del regista norvegese Petter Næss (che abbiamo intervistato qui), uno dei più probabili e meritevoli vincitori della selezione ufficiale di questo festival, presentati entrambi allo scorso Nordic Film Fest di Roma.

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Un Gatsby comunque Grande per Baz Luhrmann

Avevo molto timore a vedere The Great Gatsby, dopo Australia il mezzo flop che aveva seguito uno dei miei film preferiti di tutta la storia del cinema: Moulin Rouge. Avevo paura perché il trailer riverberava un tentativo di ricreare proprio quelle stesse atmosfere, quel fragore sfrigolante, pareva quasi chiedere scusa della sua precedente piatta diserzione. E che un genio come Luhrmann facesse il verso a se stesso mi intristiva, irritava.
Senza voler leggere nessuna recensione sul film, sentendone solo un’eco di vento negativa, sono andata a vederlo in versione 3D; tanto valeva – in caso – farsi del male fino in fondo.

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«Into the white»: la guerra senza guerra | Intervista a Petter Næss al Nordic Film Fest di Roma

Si è concluso da poco il secondo Nordic Film Fest alla Casa del Cinema di Roma, organizzato in pool dalle ambasciate scandinave d’Italia: un’edizione ancora più fortunata e partecipata della precedente, con film di altissimo livello che hanno davvero donato emozioni autentiche e profonde ai fortunati che sono riusciti, dopo lunghissime code, a guadagnarsi un posto in platea. Finalmente pellicole lontane da personaggi che non assomigliano alla nostra vita, che non ci sanno dare sentimenti profondi e sguardi nuovi e diversi sul mondo.

into the white

Tra i più importanti lo splendido Road North di Mika Kaurismäki, che ha messo insieme due grandissimi attori per un road movie padre-figlio commovente e inedito, e l’intensissimo Mangiare dormire morire di Gabriela Pichler, vincitore del premio del pubblico della Settimana della Critica di Venezia 2012, dove la regista ottimamente prodotta da China Åhlander ha raccontato il mondo della marginalità dell’immigrazione e difficoltà di sopravvivenza nel mondo lavoro attraverso una storia orgogliosa e tenace, affidata ad attori non professionisti su cui spicca un’incredibile protagonista, Nermina Lukac, di cui sentiremo certamente ancora parlare.

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Il miglior corto del 2013 si chiama Genesi…

… e lo ha girato Donatella Altieri.

Ecco il mio pezzo che racconta la sua meritatissima vittoria al Bif&st di Bari, ieri sera!

“Genesi” il cortometraggio di Donatella Altieri vincitore al Bif&st di Bari

Per la prima volta il più prestigioso festival di cortometraggi d’Italia, il ConCorto, organizzato sin dal 1992 dall’organizzazione romana di Arcipelago, è fuggito dalla capitale per approdare nel calde e accoglienti braccia del Bif&st di Bari, manifestazione sempre più importante del panorama nazionale. Felice Laudadio, direttore del festival barese, ha colto il polemico e accorato grido di dolore lanciato lo scorso giugno da Stefano Martina, direttore di Arcipelago, che lamentava una carenza drammatica di fondi e un’impossibilità a continuare a realizzare la manifestazione a Roma dove tra il Ministero dei Beni Culturali, il Comune Roma e la Regione Lazio, non c’era mai verso di sapere se e quanti fondi sarebbero stati stanziati per il festival, nonostante la sua rilevanza anche internazionale.

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Re della terra selvaggia: quando le bambine perdono

Si è scritto moltissimo e a ragione su questo film dell’esordiente Benh Zeitlin, regista trentenne autore di un piccolo capolavoro che –pur non avendo vinto nessuno dei quattro Oscar a cui era candidato – ha pur sempre meritatamente ottenuto le nominations. Un film girato con freschissima maestria, e con un impostazione che ricorda Rosetta dei Dardenne tanto nei contenuti psico-sociali quanto in quelli schiettamente filmici.

È la storia di una bambina seienne, Hushpuppy, che vive con il padre in una baracca, allo stato quasi brado, in una regione paludosa della Louisiana soggetta a esondazioni. Il padre malato e alcolizzato si occupa rudemente e sciattamente di lei, puntando a renderla un’adulta per evitare di assumersene vere responsabilità.

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“Il sospetto” di Thomas Vinterberg

Lucas (Mads Mikkelsen) e Theo (Thomas Bo Larsen) sono cresciuti insieme in una piccola cittadina della campagna danese, andando spesso a caccia con un gruppo storico di amici. Theo e la moglie litigano di frequente e a farne le spese è la loro secondogenita Klara, una bimba di 5 anni che frequenta l’asilo dove Lucas ha trovato un lavoro temporaneo – avendo perso un posto da insegnante a causa dei tagli alla scuola. I genitori di Klara la trascurano molto e, nel momento in cui Lucas la tratta in modo gentile e protettivo, la bambina sviluppa per lui una cotta infantile: gli regala un cuore e lo bacia sulle labbra.

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Lo Hobbit, eroe delle piccole cose

Aspettavo questo film da tempo, non sono rimasta delusa. Un’opera ancora grande e sontuosa da parte di un regista che mette un tale filologico amore nei confronti di J. R. R. Tolkien da riuscire a creare personaggi più pittorici del libro, e a far lottare due montagne tra loro come fosse un evento naturale e possibile. La fusione tra produzione e post-produzione è talmente priva di cesure e suture da far diventare il flusso scenico, narrativo e tecnologico un unicum filmico perfetto. Non ho voluto vedere il film in 3D la prima volta (tornerò tra qualche giorno) per godermi di più la storia, il “mio” Tolkien, e credo di aver fatto bene: sarebbe stata una distrazione da baraccone, un gioco sicuramente divertente e emozionante, ma non il cuore di ciò che volevo trovare, o meglio ri-trovare, 36 anni dopo aver letto Lo Hobbit. 

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“Argo”: e la CIA è assolta

Un film fatto bene paga sempre, e questo è proprio ottimo cinema, sotto ogni aspetto. Argo, il film di cui Ben Affleck è sia regista e attore protagonista, e coproduttore insieme a George Clooney, sta avendo un successo senza ombre di critica e pubblico. Non è I tre giorni del Condor, certo, anche se ne condivide molti aspetti, ma ha una sceneggiatura da manuale (quasi un manuale di sceneggiatura, vien da dire), ambientazioni perfette, ritmo, suspense, dialoghi limati, e truccatori e parrucchieri che devono vincere un Oscar: incredibile la loro capacità di rendere persino la grana dei pori della pelle degli anni ’70-’80, è qualcosa difficile da spiegare se non si è visto il film, nel senso: i colori, la pellicola che sembra quella di allora, un gusto vintage che fa un effetto docu-fiction (persino il marchio usato dalla Warner Bros. per i titoli è quello d’epoca), e ricorda quel brano degli Afterhours dove Manuel Agnelli racconta di un suo sogno notturno dicendo “La luce era diversa negli anni settanta, ho riconosciuto anche quella”.

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Louis Malle vs Asghar Farhadi: il mondo che cambia

Ci sono questi film la cui mancata visione mi dà quasi un senso di disagio, come stessi seduta al banco di scuola senza aver fatto i compiti. Questi titoli così famosi, le correnti di genere, i registi “importanti”: cose che si devono conoscere, in un contesto di media cultura qual è la mia. Quel minimo che mi consenta di stare su media e non mediocre, ecco, senza pretendere troppo.
Ogni tanto cerco di pitturare qualcuna delle mie macchie di leopardo, e di solito lo faccio con un’attitudine emotiva e sentimentale, pronta all’innamoramento artistico. Così ho iniziato a guardare Les Amants, un film del 1958 di Louis Malle – anni che ce l’avevo lì. Anche perché il suo Au revoir les enfants non solo mi era piaciuto molto, ma mi aveva proprio commossa.

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